Le origini; geologia del Mar Mediterraneo Stampa
Scritto da Stefano CA Rossi   
Mercoledì 20 Novembre 2013 23:03
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Le origini; geologia del Mar Mediterraneo

(a cura di Stefano C.A. Rossi)

 

La mappa di Erodoto del mondoLa storia del Mar Mediterraneo si perde in epoche veramente lontane, più di quanto normalmente si pensi. Il salto indietro nel tempo è di 200 milioni di anni. Sulla superficie del globo, molto diversa dall’attuale, spiccavano due masse continentali, una settentrionale (Laurasia) ed una meridionale (Gondwana), collegate a ovest e separate da un profondo golfo la cui estremità occidentale è ora in Europa e quella orientale in Cina. Le faune sono distribuite in modo molto omogeneo lungo l’intera lunghezza di questo golfo, e questo fatto lascerà una traccia ancor oggi visibile. Passano 50 milioni di anni, ed il nord America inizia a separarsi dal Laurasia; in questo momento un braccio di mare pressoché continuo, denominato Oceano Tetide, va dall’attuale Nevada al Mar della Cina.

Ancora 50 milioni di anni, ed è già iniziato quel processo di disgregazione delle masse continentali che porterà le terre emerse alla configurazione attuale. E’ nato l’Oceano Atlantico e le americhe si stanno progressivamente allontanando dal resto dei blocchi continentali; Antartide, Australia, India e Madagascar si sono separati dall’Africa. Il nostro mare rimane orientato in senso est-ovest, ancora a lungo canale di comunicazione tra l’Oceano Atlantico ed il Pacifico. L’allargamento dell’Atlantico meridionale provoca una spinta rotatoria verso nord-est del blocco africano che, col tempo, condurrà alla chiusura del braccio di mare dando origine al Mar Mediterraneo. Nell’area mediterranea la situazione diviene complessa, poiché i movimenti non sono lieari la crosta terrestre si frammenta in microplacche sospinte verso l’Europa dal moto della zolla africana. In verità ad oriente concorrono anche fenomeni ancora più complessi, poiché la penisola indiana è in viaggio verso l’Asia a grande velocità. Toccherà il continente settentrionale contemporaneamente alle microplacche mediterranee, generando imponenti orogenesi: è così che Alpi, Zagros, Karakorum ed Himalaya vengono definite tutte insieme catene alpine.

Nel frattempo l’area mediterranea, snodo di numerose strutture crostali che separano le zolle continentali, si frammenta in più microplacche.

Figura2

Nell’Oligocene, circa 30 milioni di anni fa, il blocco sardo-corso si separa dalla penisola iberica ruotando verso est: iniziano i movimenti legati all’orogenesi appenninica, ed alle spalle si apre un fondale di tipo oceanico: il Mar Ligure.

Nel Miocene, il Mediterraneo comincia a essere identificato geograficamente in modo più netto ma è ancora aperto verso l’atlantico; intanto a oriente, nel Miocene inferiore, comincia ad aprirsi il golfo di Suez; è proprio in questo periodo, nel Burdigaliano (18 milioni di anni fa) che la paleontologia testimonia l’interruzione dei collegamenti con l’Oceano Indiano documentando la migrazione delle faune a Proboscidati dall'Africa verso l'Asia e l'Europa. A questo punto il Mediterraneo era un golfo dell’Oceano Atlantico, collegato adesso da due varchi a nord della catena betica (in Spagna) ed a sud del Rif marocchino.

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Nel Miocene superiore (Messiniano, circa 6 Milioni di anni fa) si registra uno degli eventi più significativi, la cosiddetta Crisi di Salinità, che in un certo senso apre la storia moderna del Mediterraneo.
Il proseguimento della spinta della zolla africana contro quella europea conduce alla chiusura dei collegamenti con l’Oceano Atlantico, il Mediterraneo resta effettivamente isolato dall’Atlantico ed il suo battesimo, per così dire, è il disseccamento. Già da tempo è nota lungo l’Appennino, da Asti fino alla Sicilia, la Formazione Gessoso-Solfifera, caratterizzata da forti spessori di gessi ed evaporiti, cioè rocce formatesi per precipitazione chimica in condizioni di forte evaporazione. Lunghe campagne di perforazione sul fondo del Mediterraneo hanno consentito di stabilire che il volume complessivo di rocce prodottesi per evaporazione di acqua marina raggiunge 1 milione di km3 di volume in tutto il bacino. La situazione si è evoluta in modo complesso, vi sono state sicuramente alcune ingressioni marine minori; il bacino padano riceveva apporti fluviali e si formarono laghi dolci e salmastri. A supporto dell’ipotesi del prosciugamento vi è il dato che tutti i grandi fiumi che sfociano in Mediterraneo, dal Rodano al Nilo, hanno in realtà scavato canyon profondi fino a 2000 metri, successivamente colmati da sedimenti. Questo significa che il livello di base dell’erosione, cioè il livello del mare, doveva trovarsi 2000 metri più in basso dell’attuale.

 

Le evaporiti, deposte chiaramente in acque basse come dimostrano le strutture dei campioni raccolti tramite i carotaggi profondi, riempiono il fondo dei principali bacini, ma non di tutti. Nel frattempo infatti è continuata la complessa storia evolutiva delle microplacche mediterranee, con la formazione di nuovi bacini di tipo oceanico veri e propri. La separazione di Sardegna e Corsica dalla Penisola Iberica innanzitutto, e la formazione del Tirreno Sudorientale.
Questi bacini, con piane abissali in senso stretto, sono infatti di formazione più recente: possiamo quindi dire che solo il Mediterraneo Orientale, ad est della Scarpata di Malta, sia l’erede dell’antico Oceano Tetide. Nel Pliocene basale (5 milioni di anni) la reingressione delle acque dall’Atlantico è molto rapida a scala geologica, e riporta sedimenti abissali sul fondo dei bacini. Con l’apertura del Tirreno e la progressiva elevazione delle catene appenniniche, inclusa la Sicilia, il Mediterraneo resta diviso in due settori: quello orientale risente molto poco degli apporti delle correnti da Gibilterra, e le parti profonde sono praticamente escluse dai sistemi di circolazione a causa dello sbarramento costituito dalla Sicilia e dal cosiddetto Plateau di Malta, distesa di rocce calcaree che sale fino agli Iblei.
Quanto i movimenti della crosta terrestre siano significativi lo suggeriscono le faune fossili trovate sulle colline alle spalle di Messina e di Reggio Calabria: contengono infatti brachiopodi attualmente presenti nelle faune atlantiche profonde (batiale superiore, 500-1500 m di profondità). Raccolte intorno ai 3-400 metri di quota, significa che negli ultimi due milioni di anni il sollevamento è stato, come minimo, di quasi 1 km! Molto veloce quindi nel contesto di tali fenomeni. Un’altra caratteristica di queste faune è di essere caratteristiche della psicrosfera, cioè di quella fascia di ecosistemi batiali con temperature perennemente fredde, tra i 5 e gli 8°C. Dunque nel Pliocene sono entrate dalla soglia di Gibilterra, o forse da un passaggio più settentrionale poi chiuso, per scomparire nel Pleistocene (circa 1,7 milioni di anni). Una delle ipotesi avanzate è che sia conseguenza dell’instaurarsi anche a grandi profondità della termosfera, cioè di condizioni progressivamente più calde nonostante le oscillazioni climatiche che hanno portato periodi freddi. Un fattore può essere ricordato a margine di questa ipotesi: alla base del Pliocene sono iniziate le grandi oscillazioni climatiche globali, con alternanze di periodi più freddi (“ere glaciali” per usare una terminologia non del tutto corretta ma comune) e più caldi dell’attuale. Da questo momento infatti la vita nel Mediterraneo sarà fortemente condizionata dalle oscillazioni climatiche, con ingressi ed estinzioni ripetute di faune di ambiente freddo e di faune di ambiente caldo. Si trovano strati alterni con grandi popolazioni di Arctica inslandica (un mollusco bivalve, tipico di acque fredde dell’Atlantico) e Strombus bubonius (un grosso mollusco gasteropode che attualmente non vive a nord del Senegal).

 


Un altro fattore collegato ai mutamenti climatici sono le oscillazioni del livello dl mare. E’ ormai assodato che ad ogni periodo climatico oscillazioni del livello del marefreddo si sono formati grandi coperture glaciali continentali che hanno immobilizzato parte delle acque del globo. Il livello del mare si è abbassato così ogni volta in modo proporzionale al volume dei ghiacciai; le quote minime sicuramente accertate a scala globale sono di 120 m al disotto del livello del mare attuale.

 

Per intenderci: la costa settentrionale dell’Adriatico si trovava ad Ancona, all’Isola d’Elba si andava a piedi, Sardegna e Corsica erano un tutt’uno e dalla “Toscana” alla Corsica la traversata era “a vista” anche in giornate non ideali………Una vecchia teoria parlava di tre “ere glaciali” (eiszeit); in realtà gli episodi freddi furono molti di più. Gli studi sono ancora in corso, ma le variazioni climatiche furono numerose e complesse. Esiste un metodo di analisi degli isotopi dell’ossigeno che è un indice della temperatura dell’atmosfera, e si susseguono le applicazioni sui vari materiali contenenti ossigeno (compresi i gusci di animali marini). L’optimum viene dalle carote dei ghiacciai, che hanno preservato la composizione chimica delle acque di origine e bolle di aria com’era al momento della nevicata, nevicata dopo nevicata, strato dopo strato. Le complesse analisi consentono di ricostruire curve della variazione relativa della temperatura, e quelle antartiche hanno un valore praticamente globale. Il progetto europeo di campionamento nel cuore dell’Antartide ha raggiunto i 3000 metri di profondità, e nel 2004 si prevede di raggiungere la base della calotta, il ghiaccio più antico: un milione di anni di storia del clima registrata con grande dettaglio!

 

In ogni caso è un dato accettato che ad ogni abbassamento significativo della temperatura globale si accompagnò la formazione di ghiacciai e l’abbassamento del livello del mare. La curva riportata in figura è stata ricavata correlando gli abbassamenti di temperatura alle probabili masse glaciali prodotte ed al relativo abbassamento del livello del mare. Dati sicuri sul livello più basso raggiunto si conoscono solo per quanto riguarda l’ultima glaciazione, terminata tra i 15.000 ed i 13.000 anni dall’attuale. Nelle curve delle variazioni climatiche si vede bene come siano asimmetriche, cioè le deglaciazioni siano nel complesso rapide. La risalita del livello del mare fu sicuramente veloce, le pianure costiere scomparivano nell’arco della (allora breve) vita umana, luoghi sacri e cimiteri restavano sommersi dalle onde….. e quello fu il grande diluvio di tutte le mitologie e religioni. Il Mediterraneo si stava preparando ad accogliere la civiltà.
E i suoi abitanti? E’ molto probabile che i settori meridionali ed orientali abbiano funzionato da “serbatoio” per le popolazioni termofile, anche perché la ridotta circolazione nel complesso ha fatto sì che anche in profondità la temperatura non scendesse a valori da psicrosfera. Le maggiori variazioni faunistiche si sono quindi sviluppate soprattutto all’interno degli strati più superficiali, influenzati dalle oscillazioni climatiche.
La grande varietà ecosistemica e la grande biodiversità del Mediterraneo gettano dunque le loro radici in un complesso passato caratterizzato da oscillazioni climatiche estreme.

 

Referenze fotografiche.

Le immagini sono state ridisegnate e modificate da alcuni testi:

P.Casati, Scienze della Terra: elementi di geologia generale, ed.CLUP, Milano

La fig. 3 è stata ridisegnata da Guide Geologiche Regionali, vol. 11 “Alpi Liguri” a cura della Società Geologica Italiana

Le figure  4 e 5 sono state tratte dal sito del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Napoli.

La figura 6 è dovuta alla cortesia del Dr. Giovanni Muttoni del Dipartimento di Scienze della Terra di Milano.

 


 

Divieto di ripubblicazione senza il consenso dell'autore

 


 

Ultimo aggiornamento Mercoledì 20 Novembre 2013 23:03
 

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